The Finger and the Moon Blog

Archive for the ‘.ITALIANO’ Category

Rumi e il luogo di incontro

Posted on: January 24th, 2018 by Liuba No Comments

“Ci sono mille modi di inginocchiarsi e di baciare la terra. Di la’ dalle idee, di la‘ da ciò che è giusto e ingiusto, c ‘è un luogo. Incontriamoci la’.”

Gialal al-Din Rumi ( poeta sufi del XIII sec.)

Una frase bellissima che sintetizza tutto il progetto di questo blog, l’incontro di ogni strada nella profondità di ciò che è unico e comune. E ancor più interessante per noi è che è scritto da un poeta Sufi molti secoli fa.

Devo questa frase al bel libro di Tiziano Terzani ‘ Un’altro giro di giostra’ che sto leggendo in questi giorni. Grazie Tiziano. Per tutto.

 

 

 

 

Parigi, picchiato in strada l’artista che inneggia alla pace tra religioni

Posted on: January 16th, 2018 by Liuba No Comments

Leggo casualmente in rete, sul corriere del 12 febbraio 2015, questo articolo che ritengo importante segnalare qui. Innanzi tutto perché questo blog si propone di documentare e segnalare chi, nel campo dell’arte e della cultura come in quello delle scienze, filosofia, sociologia, antropologia ecc., opera nella direzione del rispetto fra le religioni e del contrasto al fanatismo, che è la chiave di questo blog e anche del mio progetto artistico “The Finger and the Moon“, di cui il blog è parte.

Ecco l’articolo.

PARIGI – La notte del 31 gennaio l’artista Combo è stato picchiato in strada da quattro uomini, a Parigi, che gli avevano chiesto di cancellare dal muro la sua opera: l’autoritratto in djellaba (l’abito tradizionale musulmano) e la parola «Coexist» scritta con la mezzaluna islamica, la stella di David ebraica e la croce cristiana. Da allora le scritte «Coexist» si moltiplicano sui muri di Parigi. Combo, figlio di un libanese cristiano e di una marocchina musulmana, ha raccontato l’aggressione sulla sua pagina Facebook. «Sono finito a terra sotto i loro colpi. Sono riuscito a difendermi e a incassare come potevo. Quando si sono stancati mi hanno lasciato per terra insanguinato, promettendomi lo stesso trattamento se avessi continuato ad affiggere le mie opere, e consigliandomi di tagliarmi la barba. Mi importa poca da dove vengono, il colore della loro pelle, la religione o le idee politiche. In questo contesto non rappresentano che stupidità e ignoranza».

Nei giorni successivi agli attentati di Parigi si è registrato un aumento di episodi di violenza contro gli ebrei e i musulmani. L’artista francese milita per la coesistenza delle religioni, e non disdegna di prendersi gioco dell’estremismo. È capace di creare slogan come «Più hummus meno Hamas» (il tipico piatto mediterraneo a base di ceci contro il partito islamico che controlla Gaza), di scrivere sui muri «L’abito non fa il monaco e la barba non fa l’imam» accanto alla sua immagine barbuta, e di chiedersi se il suo aspetto sia più quello di uno jihadista o di un hipster. Dopo l’aggressione Combo, ferito a un occhio e a un braccio, ha ricevuto molti attestati di solidarietà ed è stato invitato da Jack Lang, ex ministro della Cultura e presidente dell’Istituto del mondo arabo, ad attaccare la scritta «Coexist» sulla sede dell’Istituto. Centinaia di persone si sono radunate nel piazzale, hanno preso il manifesto e sono andate ad affiggerlo sui muri di Parigi.

Ci lascia Giovanni Franzoni, ex abate e ‘cattolico marginale’

Posted on: August 16th, 2017 by Liuba No Comments

 

Quando una vita è forte, sincera, libera, e svincolata da ogni convenzione, anche della propria scelta religiosa, necessita di essere ricordata e che la sua storia sia divulgata in questo sito.

E’ la vita di Giovanni Franzoni, che fino al 1973 era abate alla basilica di San Paolo Fuori le Mura a Roma. Teologo ascoltato da Paolo VI, il più giovane italiano al Concilio Vaticano II. Poi l’estromissione, arrivata dopo la denuncia delle collusioni fra Chiesa e poteri forti, la presa di posizione a favore del divorzio, la dichiarazione di voto per il Pci. Le sue omelie erano come fuoco, a favore della Chiesa dei poveri e contro il capitalismo. Allora era una voce che non si poteva ignorare.

Dom Giovanni Franzoni (“dom”, dal latino dominus, è predicato d’onore attribuito ai monaci benedettini), ha vissuto da prete ridotto allo stato laicale ma non scomunicato, fra i primi animatori delle Comunità di base che cercano di cambiare le strutture della Chiesa senza una bandiera che connoti il loro status di credenti. La sua Comunità ha sede a Roma in un locale spoglio ma dignitoso di via Ostiense. Tavoli di legno attorno ai quali ancora Franzoni, con discrezione, fino all’ultimo ha concelebrato messa con gli amici. Fra loro anche alcuni sacerdoti: spezzavano il pane recitando l’anafora assieme. “Un cattolico marginale”, si definì lui stesso nell’”Autobiografia” pubblicata da Rubbettino, defilato e, per anni, dimenticato dalle gerarchie. Anche se, due anni fa, un segno per lui fausto arrivò: alla presentazione del suo libro in Campidoglio intervenne, a sorpresa, anche Matteo Maria Zuppi, allora vescovo ausiliare di Roma, oggi arcivescovo di Bologna.

In una intervista a Repubblica raccontò di come avvennero le sue dimissioni da abate di San Paolo, lo strappo con le gerarchie che lo portò a fondare la Comunità di base in una fabbrica dismessa dell’Ostiense dopo le prese di posizioni sul divorzio e aborto: “In Vaticano mi denigravano. Dicevano che mi ero venduto al Pci. Una domenica in basilica un giovane pregò perché suo figlio potesse crescere in una Chiesa dove non si fa speculazione finanziaria come aveva da poco fatto, con tanto di deplorazione pubblica da parte dell’Associazione Bancaria Internazionale, lo Ior. Paul Mayer, a quel tempo segretario dei Religiosi, reagì. Mi disse che visto che ero così “democratico” dovevo accettare le sue condizioni: sottoporre ogni atto pubblico al parere dei superiori. Presi tempo. In una riunione della Comunità si alzò Vincenzo Meale. Disse che dovevo obbedire perché altrimenti sarei stato l’unico a pagare. Però, spiegò, “è certo che se accetta le censura, la mia esperienza con la Comunità finisce qui”. Fu un lampo, un’illuminazione appunto. Risposi: “Ho capito”. E il lunedì seguente dissi a Mayer che volevo dimettermi. E così ebbe inizio la mia nudità”. Prego? “Spogliato di ogni sicurezza, mi trovai fuori dall’apparato ecclesiastico. Certo, non ero ancora sospeso a divinis. Fu dopo che dovetti lasciare l’abito”.

Dopo il Concilio la Chiesa aveva aperto al rinnovamento. Franzoni la pungolava, deciso a tornare sui testi biblici per recuperare la figura storica di Gesù e il suo autentico messaggio. Fu Pier Paolo Pasolini a scrivere di lui: “Non c’è sua predica che prendendo convenzionalmente il pretesto dal Vangelo o dalle Lettere di San Paolo, non arrivi implicitamente ad attaccare il potere”. Ben altro dicevano Oltretevere. Un giorno in Basilica gli mandarono l’abate Tonini, dei monaci Silvestrini. Disse ai monaci che vivevano con lui che il Papa piangeva per causa sua. In pochi gli rimasero amici. Fra questi il cardinale Pellegrino. All’inizio del ‘74 Franzoni aveva già lasciato la Basilica e abitava in un appartamentino di via Ostiense. Pellegrino andò a trovarlo, e alla domanda su perché fosse a Roma rispose: “Non ho niente da fare qui, sono venuto solo per chiederti scusa per come ti abbiamo trattato”.

 

testo tratto dall’articolo di Paolo Rodari su Repubblica del 13 luglio 2017. Leggi tutto l’articolo

Le donne Tuareg, l’Islam e la libertà sessuale

Posted on: April 21st, 2017 by Liuba No Comments

Sono musulmane ma non portano il velo, possono avere più partner sessuali e divorziano tranquillamente. Sono le donne nomadi della tribù dei Tuareg, che per secoli hanno attraversato il deserto del Sahara, spesso private dalla sabbia persino della vista.

I Tuareg, nonostante il loro antico modo di vivere per lo più nomadi nel deserto, hanno una cultura estremamente progressista. Le donne possono avere più partner sessuali al di fuori del matrimonio, mantengono tutti i loro beni con il divorzio e sono così venerate dai generi che non osano mangiare nella stessa stanza in cui si trova la suocera. Prima che una donna si sposi, è libera di avere il numero di partner che vuole. Gli uomini Tuareg si intrufolano nelle tende delle giovani passando la notte insieme, mentre la famiglia educatamente fa finta di non accorgersene. Tuttavia, vi è anche un codice di condotta che nessuno deve infrangere. La privacy è importante e l’uomo deve sempre andare via prima dell’alba.

Molti matrimoni finiscono con un divorzio tra i Tuareg. E quando succede, è la moglie che mantiene gli animali e la tenda. È lei che di solito decide che ne ha abbastanza. Questo significa che spesso gli uomini sono costretti a tornare a casa dalle madri, possibilmente solo con il loro cammello e nient’altro. La moglie, nel frattempo, mantiene il possesso di tutto ciò che ha portato al matrimonio, anche dei bambini. Non c’è vergogna nel divorzio. Le famiglie spesso fanno per le figlie una festa di divorzio, lasciando ‘aperta la porta’ per altri uomini.

 

 

 

 Curiosità: perchè i tuareg vestono di blu?
La scelta di questo colore per gli indumenti, non è tanto determinata da un fatto legato a condizioni climatiche, quanto al significato che questa gente attribuisce al colore in questione.
La Tagelmust, tradizionale copricapo delle popolazioni nomadi del Sahara, soprattutto i Tuaregh, è una lunga striscia in cotone – tra i 3 e gli 8 metri – che i Tuaregh portano avvolta sul capo e attorno al viso.
Questa specie di turbante funge da riparo contro i raggi violenti del sole del deserto e le correnti di sabbia trasportante dal vento, ma è anche un importante simbolo di protezione spirituale: i Tuaregh credono infatti che la Tagelmust debba coprire la bocca per evitare che gli spiriti maligni che abitano il deserto possano utilizzarla come via d’accesso all’anima umana; per questo motivo anche durante i pasti è proibito scoprire la bocca.
La Tagelmust tradizionale è di color Indaco, e il processo di tintura del cotone avviene ancora manualmente. Data purtroppo la scarsità d’acqua spesso il cotone è tinto con polveri a secco, che nel tempo però perdono aderenza con il tessuto, trasferendosi sulla pelle – motivo per il quale i Tuaregh sono conosciuti anche come “gli uomini blu”. Sempre a causa della poca quantità d’acqua a disposizione dei popoli nomadi del deserto, spesso il cotone viene lasciato “naturale”, e così si possono avere Tagelmust di vari colori, anche se l’Indaco, ritenuto un colore dalle particolari proprietà virtuose, è il colore utilizzato nelle cerimonie più importanti, soprattutto religiose.
Particolare interesse è rivolto alle Tagelmust Indaco dal tono più scuro o intenso, poiché denotano le possibilità economiche di chi la indossa.
Questo “indumento” è riservato agli uomini Tuaregh adulti, che la possono togliere solo in presenza di familiari molto stretti, mentre le donne possono avere il viso scoperto, invertendo completamente l’ordine religioso del resto delle popolazioni islamiche.
La Tagelmust ha moltissimi significati sociali, legati soprattutto al modo di avvolgerla e piegarla sul capo, diversa a seconda del clan, del ruolo che vi si ricopre o addirittura della regione di origine.


 

Libretto della vita perfetta

Posted on: April 17th, 2017 by Liuba No Comments

Aprendo la prima scatola di cose dopo una esasperante ristrutturazione durata 8 (otto!) mesi, trovo e comincio a leggere un libricino dal titolo “Libretto della vita perfetta” e vengo a sapere che è un libro di spiritualità tedesco scritto da un anonimo di Francoforte nel XIII, ripreso e pubblicato da Lutero nel 1518. Mi affascina subito fin da principio e il suo incipit mi ricorda immediatamente la dottrina buddhista del Vuoto e il Nulla del Tao:

“San Paolo dice: ‘Quando giunge il perfetto, si getta via l’imperfetto e il frammentario’ (1 Cor 13,10). Fai attenzione: cosa è il perfetto e il frammentario? Il perfetto è un essenza che tutto comprende e racchiude in sè e nel suo essere, e senza la quale o al di fuori della quale non v’è alcun vero essere, e nella quale tutte le cose hanno il loro essere, giacchè essa è l’essenza di tutte le cose, che, immutabile e immobile in sè, tutte le muta e muove.

Invece il frammentario o l’imperfetto è ciò che ha avuto, o ha, la sua origine da questo perfetto, ed appare come un qualcosa, il questo o il quello, e si chiama creatura. E di tutti questi particolari nessuno è il perfetto. neppure il perfetto è nessuno di questi particolari. I particolari sono afferrabili, conoscibili ed esprimibili. Il perfetto è inconoscibile, inconcepibile e inesprimibile per tutte le creature, in quanto creature. Perciò il perfetto è detto “nulla”, giacchè non è nessuna di esse.”

Ed ecco l’inizio del Tao Te Ching:

“Il Tao che si può nominare
Non è il Tao eterno.
L’essere che può venire nominato
Non è quello eterno.
Come non nominabile
esso è il principio del cielo e della terra.
Divenuto con ciò determinato
Divenne l’origine degli esseri particolari.
Una l’essenza,
diversa solo la denominazione.
Mistero è la loro identità,
arcano degli arcani.
Porta attraverso la quale sono emerse,
nell’universo manifesto,
tutte le meraviglie che lo popolano.
Così lo spirito libero dalle passioni
percepisce l’essenza misteriosa,
lo spirito preda delle passioni
non conoscerà se non i suoi effetti.”

Ciò che più mi affascina è vedere come diverse vie spirituali, in diverse epoche e parti del mondo, siano così simili..

“Tutte le religioni sono delle dita che indicano la luna. L’importante è non fermarsi a guardare il dito.”

La meditazione e Om Shanti

Posted on: July 13th, 2015 by Liuba 1 Comment

Oggi mi sono chiesta precisamente cosa voglia dire ‘Om Shanti’, frase che sento spesso pronunciare dopo sessioni di yoga o di meditazione varie.

Mi sembra interessante riportare qui alcune informazioni che ho trovato, e approfittarne per fare una riflessione sulla meditazione e sulle sue tecniche.

Ciò che comunque mi balza all’occhio in maniera evidente è come tutte le vie spirituali e le religioni abbiano il proprio metodo di meditazione/preghiera a come in fondo tutte le pratiche ricerchino la stessa cosa: la comunione con l’Assoluto, la pace interiore, la liberazione dal dolore. A ciascuno, direi, spetta di trovare la via di meditazione o di preghiera più consona, sia per inclinazione personale che per interazione culturale (intendo che la scelta è dettata sia dal proprio modo di essere che dal contesto sociale in cui siamo immersi), ed è per questo che questo blog perlustra molte strade e molti sentieri, per farne emergere la profonda affinità, per crescere nel rispetto di tutte le vie, e per aiutarci a trovare la nostra via.

Om Shanti è un mantra di origine sanscrita. “Om” è la vibrazione sonora del Divino, la frequenza di base che diede origine e alimenta ogni cosa in questo universo. “Shanti” richiama il concetto di “pace”.

Meditazione di Om Shanti (testo tratto dal blog http://spiritualitaquotidiana.blogspot.it/2010/01/25-meditazione-con-om-shanti.html

La meditazione sull’Om Shanti è molto diffusa e raccomandata da numerosi maestri e insegnanti. Sappiate che ogni volta che la effettuate vi mettete in silenzioso collegamento con frequenze spirituali di luce e amore, vi collegate con altre anime e stimolate la crescita della vostra. La si può praticare anche occasionalmente in momenti di sconforto, tristezza e quando si ha bisogno di ricevere aiuto.
Un mantra è un simbolo sonoro che agisce sui corpi sottili, non dovete crederlo ma semplicemente sperimentarlo, concedendovi tempo e disciplina. Permettete a voi stessi di accoglierne gli effetti… e ricordate che solo le modificazioni che accadono al nostro interno possono veramente cambiare la nostra realtà.

Om Shanti porta luce e pace nel cuore di chi pronuncia questo mantra.

 Dopo aver assunto una posizione comoda, con la schiena eretta e gli occhi chiusi, respirate per qualche minuto per prendere contatto con il momento presente, e concentrarvi. Poi cominciate a intonare dentro di voi (quindi mentalmente) “Om Shanti”, cercando di farlo risuonare all’altezza del centro del petto. Il ritmo che si viene a creare deve essere spontaneo, delicato.

Si immagini un “gong” che ci dà il tempo e ad ogni colpo si pronunci mentalmente Om Shanti…. quindi ancora Om Shanti… e così via. Seguire il fluire del respiro non è obbligatorio, anzi bisognerebbe cercare di lasciare il ritmo del mantra più libero possibile, tuttavia può essere di aiuto soprattutto all’inizio della pratica, per radicarla in noi.

Questa pratica si può fare inizialmente per 5-10 minuti al giorno, e in seguito fino ad un massimo di 20 minuti. Non la si esegua per nessun motivo per un tempo superiore. La mente va mantenuta vigile e presente; se subentrano pensieri che disturbano o creano distrazione, semplicemente riportare l’attenzione a quello che si sta facendo, senza lasciarsi scoraggiare dal numero delle interruzioni. In questo modo ci si allena a governare il nostro campo mentale ed emotivo… per scoprire infine che noi non siamo né i nostri pensieri né le nostre emozioni… ma siamo molto di più.

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In questo sito buddhista ho trovato una buona descrizione di tecniche di meditazione  http://santacittarama.altervista.org/meditazione.htm. che vi invito a consultare. Qui di seguito ho estrapolato alcune frasi, sulla meditazione come ‘cura’ per l’insoddisfazione, che mi sembra interessante evidenziare, eccole qui:

Esplorando le vostre intenzioni e i vostri atteggiamenti nella quiete della meditazione, potete investigare il rapporto tra desiderio e insoddisfazione. Vedete le cause della scontentezza: volere ciò che non avete; respingere ciò che non vi piace; non essere in grado di conservare ciò che volete. Questo è particolarmente oppressivo quando siete voi stessi l’oggetto della scontentezza e del desiderio. Non è facile per nessuno essere in pace con la propria personale debolezza, specialmente quando nella società viene tanto enfatizzato lo stare bene, il farsi avanti e ottenere il meglio. Di fatto aspettative di questo tipo rendono difficile accettarci per quelli che siamo.

Tuttavia, con la pratica della Meditazione scoprite uno spazio che vi consente di prendere una certa distanza da ciò che pensate di essere, da ciò che pensate di avere. Contemplando queste percezioni diviene più chiaro che non possedete nessuna cosa in quanto ‘me’ o ‘mio’; ci sono semplicemente esperienze, che vanno e vengono nella mente. Così se, per esempio, esplorate un’abitudine che vi irrita anziché deprimervi a causa sua, non la rinforzate ed essa se ne va. Può ripresentarsi, ma questa volta è più debole e voi sapete cosa fare. Coltivando una quieta attenzione i contenuti mentali perdono forza e può accadere che svaniscano, lasciando la mente chiara e fresca. E’ così che la visione profonda procede sul suo cammino.

 

Festival Internazionale di Letteratura Religiosa

Posted on: June 21st, 2014 by Liuba No Comments

SUBLIMAR, il Primo Festival Internazionale di Letteratura religiosa si è svolto a Milano, dal 20 al 23 giugno 2014, nelle sale e nei chiostri della Società Umanitaria. L’avvenimento è degno di nota poichè si prefigge di dare spazio simultaneo a case editrici di provenienze religiosa diverse, accomunate da tematiche spirituali.

Il Festival della Letteratura di Tutte le Religioni è organizzato dalla F.F.M. Onlus che si presenta come una “associazione di persone che dedicano, oggi come ieri, ampi stralci della vita al dialogo interreligioso. Al suo interno giornalisti, studiosi, religiosi, persone di cultura e di spettacolo o semplici uomini di buona volontà. Esperienza di tutti è constatare le distanze tuttora esistenti tra le diverse Confessioni unite alla consapevolezza che la mancanza di dialogo è la principale causa della diffidenza reciproca.”

Sono andata a visitarla. La data scelta non era delle più felici ( a milano nei week end estivi rimangono poche persone…e anch’io era un caso che ero lì…vabbè, io giro di qui e di là non solo d’estate…) per cui il pubblico non era dei più numerosi, ma la qualità e la varietà delle proposte era molto interessante e l’aria che si respirava era cordiale e rilassata. Mille auguri di ottimo sviluppo a questo festival!

 

 

Bhagavad Gita: azione e contemplazione

Posted on: May 31st, 2014 by Liuba No Comments

“La solitudine è necessaria per prendere dimora stabile nel Sé, ma i maestri ritornano poi nel mondo per servirlo.

“Nessun uomo sfuggirà all’ azione
Ritraendosi dall’ agire; no, e nessuno giungerà
Con le sole rinunce alla perfezione.
No, e nessuna minima frazione di tempo, in nessun tempo
Lascia alcuno inattivo; poiché la legge della sua natura
Lo costringe, sia pur di malavoglia, ad agire.

Colui che con un corpo forte serve la mente,
Sacrifica le sue forze mortali a un degno lavoro
E non cerca guadagni, Arjuna! questi è necessaria da onorare. Como l’opera tua!”

Bhagavad Gita



images taken from the website:  http://balancedaction.wordpress.com/2012/06/25/the-bhagavad-gita-part2-what-types-of-actions-exist/

 

 

 

Sentinelle di sacralitá rurale

Posted on: May 14th, 2014 by la fra No Comments

Infiniti nomi per infiniti luoghi: arte e religiositá rurale

Nicchie ai crocicchi, croci votive o edicole sacre poste ad un bivio o su un sentiero di montagna, a metá di una via di pellegrinaggio, tappe sacre lungo il cammino tra campi, boschi, colline e montagne. Ce ne sono ovunque in Italia e quasi ovunque nel mondo, anche se in ogni regione e per ogni credo assumono sfumature diverse, nella forma e nello scopo.

 In Italia appartengono alla preghiera cristiana e alla devozione per un dio o per un santo. Nella maggiorparte dei casi si tratta di un ringraziamento per un voto fatto in precedenza da un credente. In ogni regione d’italia assumono giá diverse denominazioni. Se in Lombardia si parla di santelle, in Veneto vengono chiamati capitelli votivi, da capitèo e in Piemonte piloni. Ma anche nomi quali edicola votiva o edicola sacra, altarino, tempietto non mancano.

Nel piacentino la piccola casetta o tempietto in cui venerare la Maria Vergine prende il nome di Mistadello.

 Grazie al lavoro di Maria Rosaria Auricchio é possibile scoprire gli oltre cento Mistadelli presenti nelle Valli Trebbia e Nure. Con esattezza la Auricchio ha condotto una lunga ed accurata ricerca, documentando tutti i mistadelli (o sacelli) presenti nei comuni di Alseno, Besenzone, Cadeo, Caorso, Carpaneto, Castell’Arquato, Castelvetro, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Gropparello, Lugagnano, Monticelli d’Ongina, Morfasso, Vernasca e Villanova. Con metodo vengono riportati tutti queste piccole casette votive con almeno 125 schede analitiche e piú di 200 fotografie nel libro pubblicato nel 2007. L’autrice ha allargato la sua ricerca e documentazione negli ultimi anni anche ad altre valli piacentine, potendo pubblicare un nuovo volume lo scorso novembre 2013, dal titolo: “Arte e devozione rurale. Mistadelli a Piacenza, Val Tidone, Val Trebbia e Val d’Aveto”.

La Auricchio parla di devozione rurale, perché tutti questi “angoli votivi” sono riferimenti a una fede spontanea, sinceramente sentita dagli abitanti e lavoratori di un luogo, che ci possono rappresentare qualcosa di concretamente legato alla vita quotidiana. Una concretezza che non deriva certo dalla fede di intellettuali, ricchi architetti o antichi nobili, ma dalla fede contadina delle campagne. Sui sentieri di queste campagne italiane oggi si incontrano meno contadini di un tempo ma rimangono tuttavia disseminate di mistadelli, come fossero appunto sentinelle di una sacralitá legata a cicli di vita passati, rendendoli eterni.

Rama Navami

Posted on: April 22nd, 2014 by la fra 1 Comment

Lord Rama

Ram Navami é la celebrazione della nascita di Rama, settima reincarnazione del dio Vishnu, detto anche avatara di Vishnu. Il giorno della nascita di Rama corrisponde al nono giorno della luna del mese di Chaitra (Aprile o Maggio). Nel 2014 la grande festa é stata celebrata l’8 di Aprile. Le fotografie coloratissime sono comparse anche sui giornali europei, in cui spiccavano visi tinti di blu e fiamme danzanti. I fedeli cantano, pregano nel consieto canto, il bahjan per il dio Rama. Tra un canto e l’altro alcuni fedeli danzano con una fiamma. Uno di essi, rappresentando la figura di Rama, truccato di blu, colore col quale viene sempre rappresentata questa divinitá, é stato immortalato con un’ostia infuocata sulla lingua. Non tutte le celebrazioni contemplano la spettacolaritá, elemento fondamentale del Rama Navami sembra essere il canto e la lettura privata o pubblica del Ramayana, un antichissimo epico testo scritto da Valmiki alcuni secoli prima di Cristo (tra 500 e 100 a.C.), in cui si raccontano le gesta del dio-eroe. Le letture celebrative includono anche la versione hindi di Tulsidas, chiamata Ramcaritmanas. In migliaia partecipano a questa festa, accorrendo ai templi dedicati a Rama e camminando nelle processioni realizzate con gli idoli di Rama, Sita, la moglie di Rama, Laksmana e Hanumat. In alcuni casi la celebrazione della nascita segue una novena preparatoria, di digiuno e o preghiera dei fedeli, Novaratri. Nella cittá natale di Rama, Ayodhya, nell’Uttar Prades questa festa é vissuta con particolare solennitá, non solo nei templi, ma anche in riva al fiume Sarayu. Si crede che nelle sue acque siano presenti le aque di tutti i fiumi santi dell’India. Rama é amato e venerato da tutti, esempio di uomo, di regnante, é come la bontá che sconfigge il male. Rama nacque figlio del re di Ayodhya, grazie ad un rituale molto complesso eseguito dal re che non poteva avere figli. Rama fu la risposta di Vishnu alla preghiera di Dasharat e di altri dei che non sapevano come sconfiggere l’ego e l’eccesso di Ravana, re dell’isola di Lanka. Ravana era un uomo dotto e intelligente ma il suo dono divino, di non poter essere ucciso nemmeno dagli dei, lo riempí di ego e prepotenza. Per sconfiggerlo Vishnu doveva incarnarsi in un uomo, da uomo poté vincerlo. La venerazione e la preghiera dei fedeli comprende il canto, detto Bhajan. Il termine deriva appunto dal sanscrito bhakti che significa venerazione o preghiera. I Bhajan sono dei mantra che esprimono amore e devozione per la divinitá. Nel video “Nama Ramayanam” di immagini e canti é possibile ascoltarne alcuni, cantati per lui durante la celebrazione  per la sua nascita.